Riflessione di Mario Iacomino
Adriano De Vita e Vincenzo Mazzaro dell’Associazione Cultura Qualità Triveneta aprono un’interessante discussione sulla qualità della formazione professionale degli adulti, per valorizzare in modo sempre più congruente e non ambiguo le risorse umane, ovunque e comunque impegnate sia nel mondo delle aziende, che del pubblico impiego.
A mio avviso, proprio per quanto riguarda la scuola, focalizzano un problema che è poco riflettuto nel mondo scolastico in generale: il peso delle “due culture”, quella tecnica e quella umanistica, che condiziona soprattutto la formazione, che dall’alto o dal basso, si propina continuamente al personale della scuola: docenti, ATA e dirigenti scolastici. In tutti i casi, con un aggravante che si stenta a capire, la “scarsa capacità di creare l’indispensabile coinvolgimento generalizzato di tutto il personale”.
Nella loro discussione sul caso, i due autori mettono a fuoco tre criteri, che chiunque si fa promotore di una formazione di qualità dovrebbe tenere conto:
- Il primo, è quello dei formatori di professione che hanno sviluppato, “una identità di mestiere sempre più forte e articolata”. Non va confuso questa figura con lo specialista, che in quanto detentore di competenze teoriche e pratiche porta il suo contributo per migliorare alcuni aspetti specifici della propria attività, nel senso dell’ottimizzazione della performance professionale.
Il formatore professionista è, essenzialmente, uno specialista nei processi di apprendimento degli adulti, ovunque essi lavorano, che pianifica e valuta gli interventi formativi, innanzitutto contestualizzandoli, scegliendo il modello culturale e metodologico più adatto a quella tipologia di professionisti, di cui monitora passo dopo passo la satisfaction.
- Il secondo, si riferisce ad una particolare tipologia di formatori, che oserei definire “scientisti”, cioè specialisti in metodologie Q.T. di analisi e tecniche molto sofisticate, generalmente con laurea in ingegneria, che non fanno alcun riferimento alle discipline di base per la formazione: psicologia generale, psicologia dell’apprendimento, sociologia dell’organizzazione, linguistica, antropologia culturale ecc. Il loro approccio è squisitamente quello delle scienze esatte, con “molta enfasi sulla misurabilità, sull’esattezza delle misurazioni, sulla controllabilità dei processi, sulle tecniche di process management”, che proprio per il personale della scuola non funzionano, sia per la materia umana su cui lavora: alunni – studenti, sia per il chiaro meccanicismo che conferiscono al lavoro del docente, in particolare non piace la concezione della persona in formazione, intesa come un elaboratore di informazioni che provengono tanto dall’esterno, che dall’interno dell’organismo. È di tutta evidenza, che nel mondo della scuola il dialogo tra questi formatori e i formandi è difficile. Si tratta di due ambiti culturali che dialogano con difficoltà e fanno fatica a capirsi.
- Il terzo, è l’approccio normativo/burocratico. Partecipando a diversi corsi di formazione in ambito scolastico si nota come, soprattutto da parte di alcuni dirigenti scolastici, si calca la mano meno sugli aspetti strategici della Qualità e molto su quelli formali/burocratici. Sembra che alcuni dirigenti tengano più ad ottenere il “bollino qualità” sulle procedure seguite dalla scuola, che non la qualità sostanziale che interessa gli alunni: la continuità dell’insegnamento, la valorizzazione delle scelte didattiche innovative, le tecniche di comunicazione in classe e con le famiglie degli alunni, i rapporti empatici con gli alunni e con il personale.
Riflettendo su questi tre ambiti culturali di affidamento della formazione, con particolare riferimento alla scuola, risalta quanto sia difficile ragionare sia in termini di qualità della formazione, che del miglior metodo per formare il personale della scuola. Anche perché c’è troppa differenza tra i professionisti della qualità e quelli della formazione. Ne consegue che un dirigente scolastico che deve organizzare un piano di formazione per il personale della scuola non ha altra migliore strada che quella di considerare solamente quelle metodologie di formazione che possono essere valutate con indici quantitativi di efficacia ed efficienza. E soprattutto rivolgersi a tecniche di misurazione della formazione a basso indice d’incertezza. E non è detto che il problema è risolto, come la fa semplice la legge 79/2022 di conversione del Decreto legge n. 36 del 30 aprile 2022, che addirittura assegna alla valutazione della formazione dei docenti il destino della loro progressione di carriera stipendiale. I docenti, il personale della scuola non sono oggetti inanimati, bensì esseri viventi e, come scrivono Adriano De Vita e Vincenzo Mazzaro, “in particolare le persone adulte che lavorano, formulano opinioni e giudizi, valutano i rischi connessi all’essere valutati e prendono le loro precauzioni per minimizzarli. Inoltre sono capaci di valutare a loro volta, con i criteri e i metodi più vari e imprevedibili, i loro valutatori, i metodi di valutazione (la scuola) stessa e il mondo intero.
La legge 79/2022 sembra essere estranea al problema, non se lo pone, considera il personale della scuola “persone-oggetto” e non solo “persone” con comportamenti e atteggiamenti che fanno saltare tutti i criteri di valutazione e di misurazione della formazione. Se aggiungiamo poi che questa “scuola di alta formazione”, voluta dal Ministero, per come sarà strutturata non potrà prendere accordi ed instaurare un grado di fiducia con i “formandi”, che, a fronte del “rischio” valutazione faranno di tutto per “rendere inoffensive le procedure di valutazione, falsificandole e distorcendole con tutti i mezzi a loro disposizione”. Quando si parla di formazione del personale della scuola non si parla di “oggetti”, ma di “soggetti che valutano altri soggetti e ne sono, per così dire, contro-valutati”.
Che dire poi del clima competitivo e mutevole delle scuole, che con questa sorta di valutazione a punti, lo rende ancor più competitivo e mutevole. Se un docente al termine della valutazione della formazione, risulterà che non è riuscito a sviluppare abilità nuove o a comprendere certi concetti di didattica innovativa, questo resterà a vita con lo stipendio iniziale, ma ciò che è peggio ne ricaverà un abbassamento della stima in sé stesso e ciò che è peggio nell’opinione dei suoi studenti e delle loro famiglie. Se, poi, riflettiamo che questa valutazione è nelle mani del dirigente scolastico, come possiamo escludere un altro grande difetto di questa valutazione: la soggettività!
In un contesto aziendale la valutazione di un periodo di formazione espressa da persone, o che non operano nello stesso contesto, o che viene espressa da un soggetto monocratico senza criteri e procedure condivise da chi è valutato e da chi valuta, non passerebbe.
Ma quali sono gli elementi disfunzionali nella formazione del personale:
· rifiuto di ogni tipo di procedura valutativa
(tutto è troppo complesso, non è possibile semplificare, non ci sono criteri abbastanza scientifici, ecc...)
· espressione di soli giudizi “medi” o “non so”
(può dipendere dal timore di esporsi pubblicamente o di danneggiare il valutato se il giudizio è negativo)
· espressione di soli giudizi positivi
(in questo modo si evita ogni difficile discussione)
· persecuzioni
(valutazioni solamente negative spesso riservate a singoli individui scelti con criteri non esplicitati)
· favoritismo
(utilizzo di criteri discriminatori basati su simpatie personali o sull’appartenenza a “staff” collaboratori)
· isteria
(improvvisi “furori valutativi” seguiti da periodi di indifferenza e cicli imprevedibili)
· burocratismo
(altissima produzione di dati e materiali cartacei che nessuno elabora, interpreta e utilizza)
· fuga nella tecnologia
(sofisticati e costosissimi software, magari artificialmente intelligenti, utilizzati per evitare la responsabilità del giudizio)
· segretezza
(le valutazioni vengono formulate ma non espresse, specialmente agli interessati)
Con riferimento alla scuola la lista potrebbe allungarsi a segnalare il malessere del personale della scuola di fronte a procedure valutative, che non hanno dato mai buoni esiti.
Da qui l’accettazione scettica di questa ennesima riforma, con la quale il M.I. ha pensato di dare una svolta positiva, facendo discendere dalla partecipazione ad essa una “valorizzazione stipendiale”, che già nei numeri fa acqua da tutte le parti:
1° perché questa valorizzazione in soldoni dovrebbe scaturire dal restringimento degli organici per il fenomeno della denatalità.
2° perché ad usufruire della valorizzazione stipendiale non sarebbero tutti i docenti, ma solo il 40% di essi.
La domanda è d’obbligo: come può un sistema così concepito avere un vasto consenso e portare ad un aumento di professionalità nel mondo della scuola? Non c’è in questo nuovo sistema di formazione obbligatoria e nel modo di valorizzarla alcun fattore a sostegno delle motivazioni, sia a formarsi, sia a lavorare di più, a lavorare meglio.
In un rigurgito di ministro-centrismo si ha quasi l’impressione che ci si voglia riappropriare del governo delle scuole, sottomettendone il personale attraverso forme di aggiornamento e formazione forzate, per raggiungere l’illusione della qualità totale dell’istruzione, che permetta alle scuole di essere vincenti nella sfida sociale che quotidianamente la società le lancia.
Se dunque l’obbligo della formazione e dell’aggiornamento in servizio viene assunto come strategia guida per rivitalizzare il sistema scuola attraverso la valutazione affidata ai Dirigenti scolastici, che finiranno per gestire un sistema di ricompense interne, avremo anche dichiarazioni dell’importanza dell’aggiornamento e della formazione, ma senza che la scuola modifichi gran che i suoi sistemi di procedere verso un’innovazione convintamente di qualità.
Ma allora cosa bisognava fare?
Per concludere, non possiamo fare a meno di osservare come i temi trattati fino a questo punto sono di portata troppo ampia per essere adeguatamente contenuti nello spazio limitato di riflessione. Ma una proposta la si può azzardare: organizzare, in ogni scuola, gruppi permanenti di lavoro, che anche a livello interscolastico potessero confrontarsi liberamente con persone provenienti dal territorio, ma anche dalle subculture organizzative di altri contesti, allo scopo di ricercare sinergie che inneschino il motore della riflessione creativa sui temi della formazione e dell’aggiornamento.
Il merito della L. 79/22 è stato certamente quello di mettere al centro della discussione di una nuova idea di scuola, la formazione del personale tutto, con continuo aggiornamento, per garantire alle unità scolastiche autonome una professionalità adeguata e innovativa rispetto ai tempi.
L’azione didattica del docente, cioè il mestiere d’insegnare emotivamente coinvolto a ricercare un metodo educativo, fa dell’insegnante il prezioso strumento che lega lo studente alla realtà e che lo prepara, sulla delicata soglia del confine tra realtà e futuro, a diventare l’uomo (e la donna) del domani, il cittadino, che si esercita a gestire le risorse disponibili per migliorare il futuro proprio e di molti altri.
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