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Emergenza ucraina: le contraddizioni della Scuola



Il susseguirsi degli eventi catastrofici, dalla pandemia da Covid 19 alla guerra in Ucraina, ha acuito l’emersione dell’inadeguatezza del sistema-scuola a fornire risposte concrete ai bisogni sociali, sia sotto il profilo strutturale che sul piano didattico-organizzativo. In prima istanza, l’effetto disorientante delle Istituzioni è prevalso sulla cogenza di indicazioni operative che potessero determinare l’adozione di protocolli emergenziali di tempestiva incidenza. Se la portata traumatica e l’impatto dei fatti rappresentano eventi distruttivi non elaborabili se non nel medio-lungo periodo e previo ricorso a infrastrutture di aiuti integrati – l’attuazione delle procedure di accoglienza e di inclusione, rimesse peraltro all’autonomia delle istituzioni scolastiche, si è rivelata nella realtà dei fatti oltremodo complessa.

Si scorge nel tessuto normativo a maglie larghe una sovrastante dimensione umana, travasata in dichiarazioni di principio universali, come attesta la nota del 4 marzo che, dopo un’ampia cornice introduttiva, finalizza gli interventi al ripristino di “condizioni minime di normalità quotidiana”. Segue la declinazione dell’area operativa in tre livelli: l’accoglienza – intesa come diritto allo studio e come tutela estesa ai minori richiedenti protezione internazionale e agli stranieri non accompagnati -; il supporto psicologico quale risorsa strategica in fase di definizione; il supporto linguistico, finalizzato alla rimozione delle barriere comunicative attraverso il ricorso a mediatori linguistici e culturali. A tal fine, si individua nel raccordo tra Uffici scolastici regionali, uffici di ambito territoriale ed Enti locali lo strumento per implementare sistematicamente le suddette figure, congiuntamente allo stanziamento di Euro 1.000.000 da destinare alle istituzioni scolastiche coinvolte significativamente in tali attività.

Assume pregio la priorità accordata alla dimensione pedagogica dalla successiva nota del 24 marzo, ove si indicizzano le sequenze ricostruttive della “normalizzazione”, pur nell’ostativa dicotomia tra la convulsività emergenziale bellica e i “tempi lenti” dei processi formativi. Campeggia l’auspicio di favorire la “pedagogia del ritorno”, tra architetture temporali sovrapposte, il valore dello scambio che rende “ricchi di doni, non mendicanti”, la consapevolezza del trauma che centrifuga l’io tra le ombre taglienti dell’ansia, la necessità quantunque di non eludere il dolore, di nominarlo piuttosto con la “frontalità” di approcci pluralisti, come il service learning, per raggiungere equilibri dinamici attraverso la “pedagogia della scala […] per la risalita simbolica dal sottosuolo, verso la luce del sole”.

Le prime indicazioni operative sono state emanate solo il 14 aprile, all’esito di una più costante ricognizione evolutiva: il punto di partenza è stato l’allestimento su sito ministeriale di un’apposita sezione ricomprensiva dei documenti ufficiali del Ministero, dei materiali didattici e pedagogici per l’accoglienza e l’apprendimento, di racconti e narrazioni biografiche, di notizie dedotte dall’attualità. Analogamente al dettato normativo del Testo unico sull’immigrazione - d.lgs. 286/1998 -, la gestione delle iscrizioni è improntata alla doverosità di garantire l’effettività del diritto allo studio, indipendentemente dalle regolarità delle condizioni anagrafiche e di soggiorno, laddove - sul piano fattuale – è prevista l’individuazione di scuole Polo per l’indirizzamento delle iscrizioni secondo criteri di razionalità distributiva.

Tuttavia, ci urge rilevare che, mentre è accordabile massimo assenso ai principi valoriali, la realtà effettuale non è comprimibile negli schemi operativi elaborati, soprattutto in riferimento alle procedure di iscrizione, di assegnazione alla classe e di valutazione ai fini della validità legale: la comparabilità dei titoli di studio, la certificazione delle competenze e la predisposizione di piani di apprendimento individualizzati, assunti come presupposto ai fini dell’inserimento scolastico, richiedono invero tempi di accertamento non conciliabili con l’indifferibilità emergenziale, né il raccordo con le procedure di contenimento pandemiologico e con le disposizioni di carattere sanitario è risultato agevole, importando al contrario criticità amministrative sovente compensate con il criterio empirico del buon senso e della ragionevolezza. Inoltre, l’assenza di figure specializzate, quali mediatori ed interpreti, ha caducato in radice l’effettività e l’efficacia del percorso formativo, né dicasi che il ricorso ai dispositivi della didattica digitale sia surrogatorio o compensativo, mancando il ruolo coesivo della relazione umana.

Non immune da censure è la tardività di emanazione della nota del 4 giugno concernente i criteri di valutazione e la disciplina degli esami di Stato con la relativa previsione di esonero degli studenti ucraini. Per le valutazioni finali di classi non terminali, invece, pur assumendosi a criterio discretivo l’impatto psicologico e la “complessità del processo di apprendimento maturato nel contesto della guerra e dell’emergenza umanitaria”, la predisposizione di un piano di apprendimento individualizzato e il deferimento alle singole scuole di iniziative tese al recupero dei nuclei fondanti disciplinari, manifesta un’insufficienza strutturale che non tiene conto delle barriere linguistico-culturali, riducendo la complessità del processo valutativo alla sola componente burocratico-amministrativa. Non è verosimile che nel breve periodo – da marzo a giugno – si presupponga la sussistenza di quella pluralità di fattori, processi ed evidenze che concorrono a delineare un’equa valutazione degli apprendimenti, entro una prospettiva olistica non confinabile nel mero perimetro docimologico. Non a caso, gli orientamenti scientifici suggeriscono di distendere la considerazione degli eventi umani – e a fortiori di processi psico-evolutivi alterati dall’interferenza di vissuti disforici – entro traiettorie temporali di lungo termine. Intendiamo con questo affermare che riconoscere agli esuli ucraini il diritto allo studio e all’inclusività è un dovere etico costituzionalmente tutelato, non sovrapponibile tuttavia – rebus sic stantibus - con il simmetrico diritto alla validazione legale del percorso intrapreso, pena la configurazione di una ben più acrimoniosa disparità di trattamento tra gli alunni e dell’affievolimento della valutazione come atto amministrativo, ove non ripoggiante su presupposti fondati.

Ma la contraddizione più vistosa è racchiusa nella clausola di invarianza finanziaria che sigilla marmoreamente la predetta nota ministeriale – e invero la prevalenza degli atti normativi del settore - onde le scuole dovranno attuare tali iniziative con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili, “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, a desolante riprova dell’ormai endemico misconoscimento di quel ruolo di “artigianato” civico, etico e sociale incarnato dalla Scuola.


Di Ilaria Di Leva


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